mercoledì 28 ottobre 2015

LA FESTA DEI MORTI A PALERMO


Novembre è alle porte e Palermo si prepara a vivere la tradizionale “Festa dei Morti”. Il 2 novembre, giorno della commemorazione dei defunti, da noi, come in tante altri parti della Sicilia, non è sinonimo di lutto e dolore, ma di festa. I bambini palermitani attendono questo giorno con intensa trepidazione perché “per i morti” – è così che si dice da noi – arrivano i balocchi e i dolciumi: bambole, macchinine, giochi tecnologici, pistole, ma anche cioccolatini, pasticcini, biscotti e frutta secca lasciati per i piccoli della casa, come vuole la tradizione, durante la notte dai parenti defunti ritornati quel giorno sulla terra per rivedere i loro cari. Fino a qualche decennio fa il 2 novembre era addirittura atteso dai piccoli palermitani più del giorno di Natale, anche perché i doni natalizi arrivavano per la Befana e il canuto e panciuto Babbo Natale era solo il simpatico vecchietto della foto ricordo scattata sotto i portici di piazzale Ungheria!

Mancano ancora pochi giorni, ma già agli angoli delle strade si cominciano a vedere le prime tradizionali bancarelle di giocattoli; i banconi e le vetrine delle pasticcerie sono un tripudio di colori, profumi e sapori soprattutto per la presenza della celeberrima “frutta di Martorana*”, coloratissimi pasticcini di pasta di mandorla e zucchero a forma di frutta, di frutta secca, di frutti di mare e ortaggi che per la loro perfetta fattura e per il loro intenso profumo diventano anche il souvenir preferito dei turisti e visitatori che si trovano in giro in questi giorni nella nostra città.

Le origini di questa festa risalgono alla seconda metà del primo millennio. Come è noto, in quei secoli la Chiesa, non riuscendo a sradicare gli antichi culti pagani, per lo più di tradizione celtica, cominciò a far sue gran parte di quei riti. Nel 601 Papa Gregorio I in un editto dichiarava espressamente di non spodestare i costumi e le credenze pagane, ma di servirsene gemellandole ai riti cristiani. E fu proprio per dare un nuovo significato ai riti pagani che si celebravano in quei giorni ( nel calendario celtico il 31 ottobre era l’ultimo giorno dell’anno) che papa Gregorio nel 835 II anticipò al primo novembre la festa di Ognissanti del 13 maggio. E successivamente nel 998 Odilone, l’abate di Cluny, fissò al 2 novembre la commemorazione dei defunti. Come si era sperato che accadesse, la gente cominciò ad adattare le vecchie credenze, ed i riti ad esse legati, alle nuove feste e al loro mutato significato, e ancora oggi continuano a sopravvivere i riti di quando si credeva che in quei giorni, i cari estinti tornassero sulla terra per rivedere i parenti ancora in vita. Oggi come allora si continuano a preparare per cena i piatti legati a questa tradizione. Tra questi si ricordano le cosiddette “ fave a cunigghiu” cucinate con il rito romano della Lemuria – nel cui seme, secondo la leggenda, si trovano le lacrime dei morti. Fino a qualche decennio fa, ma non è escluso che qualche famiglia continui a farlo per rispetto alla tradizione, si soleva lasciare la cena in tavola per tutta la notte perché i defunti la potessero mangiare. L’usanza ricordava il “cunsulu” siciliano (noto ai nostri giorni con il termine cunsulatu): banchetto preparato dai vicini di casa per i parenti impegnanti nella veglia notturna del defunto. I morti erano soliti ringraziare lasciando balocchi e dolci per i bimbi presenti in casa. I doni venivano lasciati dentro le scarpe o nei “cannistri”, cesti preparati la sera prima e riposti ai piedi del letto o davanti le finestre dopo la recita di una litania:

Armi santi, armi santi iu sugnu uno e vuatri siti tanti:

mentri sugnu ‘ntra stu munnu di guai, cosi di morti mittiminni assai.

Oggi come allora, i genitori continuano a raccontare ai figli che se durante l'anno sono stati buoni e hanno recitato le preghierine per le anime dei cari defunti, i "morti" porteranno loro dei giocattoli, in caso contrario riceveranno una grattatina ai piedi per punizione. I giocattoli venivano acquistati dai genitori solitamente, quando ancora non esistevano i grandi centri commerciali di oggi, nella grande “Fiera dei morti”, un vero e proprio paese dei balocchi e dei dolciumi, che si organizzava pochi giorni prima nel rione dell’Olivella e che oggi è stata spostato in via Nina Siciliana, nel rione Zisa. Il mattino dopo era, e continua ad essere, una vera e propria caccia al tesoro: al risveglio i bambini cercano i giocattoli e solitamente accanto ai balocchi trovano ancora il “Cannistru” colmo di frutta secca e datteri, biscotti tipici detti “ossa ri mortu”, cioccolatini, frutta di martorana e, solitamente posta al centro del “cannistru”, l’immancabile “Pupaccena”: una statuetta di Paladino o di altri personaggi del mondo infantile fatta di zucchero e dipinta con colori molto accesi e impreziosita da scintillanti filamenti di carta stagnola o colorata. Al mattino per i più grandi la tradizione impone di far colazione con la morbidissima "muffulietta", un tipo particolare di pane di forma ovale "conzato", condito, con olio, sale, pepe, acciuga, origano e con la variante del pomodoro fresco per chi lo gradisce.

Giovanni Verga cita la “Festa dei morti” in Vagabondaggio del 1887: “ le mamme vanno in punta di piedi a mettere dolci e giocattoli nelle piccole scarpe dei loro bimbi, e questi sognano lunghe fila di fantasmi bianchi carichi di regali lucenti, e le ragazze provano sorridendo dinanzi allo specchio gli orecchini o lo spillone che il fidanzato ha mandato in dono per i morti” E già perché a contendersi i portafogli dei palermitani in questi giorni non sono solo i giocattolai ma anche i gioiellieri perché, anche se in tono minore rispetto al passato, è d’obbligo “per i morti” portare alla fidanzata un piccolo “cannistru” con sorpresa d’oro dentro!!

La festa dei morti è un evento che per fortuna almeno a Palermo “resiste” molto bene e frasi incomprensibili per chi non è “dei nostri” del tipo “quando sono i morti? oppure Cosa ti hanno messo i morti?” e perché no? “Talè chi mi misiru i morti! riescono ancora a sopravvivere nonostante la fortuna dell’americana “ DOLCETTO O SCHERZETTO?”

* Tale dolce deve il proprio nome al luogo in cui venne preparata per la prima volta: il convento della Chiesa della Martorana di Palermo

FONTI:

UTILITY MAGAZINE anno 2 -numero 3- settembre 2009






Foto: Enzo Ferreri