Novembre è alle
porte e Palermo si prepara a vivere la tradizionale “Festa dei
Morti”. Il 2 novembre, giorno della commemorazione dei defunti, da
noi, come in tante altri parti della Sicilia, non è sinonimo di
lutto e dolore, ma di festa. I bambini palermitani attendono questo
giorno con intensa trepidazione perché “per i morti” – è così
che si dice da noi – arrivano i balocchi e i dolciumi: bambole,
macchinine, giochi tecnologici, pistole, ma anche cioccolatini,
pasticcini, biscotti e frutta secca lasciati per i piccoli della
casa, come vuole la tradizione, durante la notte dai parenti defunti
ritornati quel giorno sulla terra per rivedere i loro cari. Fino a
qualche decennio fa il 2 novembre era addirittura atteso dai piccoli
palermitani più del giorno di Natale, anche perché i doni natalizi
arrivavano per la Befana e il canuto e panciuto Babbo Natale era solo
il simpatico vecchietto della foto ricordo scattata sotto i portici
di piazzale Ungheria!
Mancano ancora pochi giorni, ma già
agli angoli delle strade si cominciano a vedere le prime tradizionali
bancarelle di giocattoli; i banconi e le vetrine delle pasticcerie
sono un tripudio di colori, profumi e sapori soprattutto per la
presenza della celeberrima “frutta di Martorana*”, coloratissimi
pasticcini di pasta di mandorla e zucchero a forma di frutta, di
frutta secca, di frutti di mare e ortaggi che per la loro perfetta
fattura e per il loro intenso profumo diventano anche il souvenir
preferito dei turisti e visitatori che si trovano in giro in questi
giorni nella nostra città.
Le origini di questa festa risalgono
alla seconda metà del primo millennio. Come è noto, in quei secoli
la Chiesa, non riuscendo a sradicare gli antichi culti pagani, per lo
più di tradizione celtica, cominciò a far sue gran parte di quei
riti. Nel 601 Papa
Gregorio I in un editto dichiarava espressamente di non spodestare i
costumi e le credenze pagane, ma di servirsene gemellandole ai riti
cristiani. E fu proprio per dare un nuovo significato ai riti pagani
che si celebravano in quei giorni ( nel calendario celtico il 31
ottobre era l’ultimo giorno dell’anno) che papa Gregorio nel 835
II anticipò al primo novembre la festa di Ognissanti del 13 maggio.
E successivamente nel 998 Odilone, l’abate di Cluny, fissò al 2
novembre la commemorazione dei defunti. Come si era sperato che
accadesse, la gente cominciò ad adattare le vecchie credenze, ed i
riti ad esse legati, alle nuove feste e al loro mutato significato, e
ancora oggi continuano a sopravvivere i riti di quando si credeva che
in quei giorni, i cari estinti tornassero sulla terra per rivedere i
parenti ancora in vita. Oggi come allora si continuano a preparare
per cena i piatti legati a questa tradizione. Tra questi si ricordano
le cosiddette “ fave a cunigghiu” cucinate con il rito romano
della Lemuria – nel cui seme, secondo la leggenda, si trovano le
lacrime dei morti. Fino a qualche decennio fa, ma non è escluso che
qualche famiglia continui a farlo per rispetto alla tradizione, si
soleva lasciare la cena in tavola per tutta la notte perché i
defunti la potessero mangiare. L’usanza ricordava il “cunsulu”
siciliano (noto ai nostri giorni con il termine cunsulatu): banchetto
preparato dai vicini di casa per i parenti impegnanti nella veglia
notturna del defunto. I morti erano soliti ringraziare lasciando
balocchi e dolci per i bimbi presenti in casa. I doni venivano
lasciati dentro le scarpe o nei “cannistri”, cesti preparati la
sera prima e riposti ai piedi del letto o davanti le finestre dopo la
recita di una litania:
Armi santi, armi santi iu sugnu uno e vuatri siti
tanti:
mentri sugnu ‘ntra stu munnu di guai, cosi di morti
mittiminni assai.
Oggi come allora, i genitori
continuano a raccontare ai figli che se durante l'anno sono stati
buoni e hanno recitato le preghierine per le anime dei cari defunti,
i "morti" porteranno loro dei
giocattoli, in caso contrario riceveranno una grattatina ai piedi per
punizione. I giocattoli venivano acquistati dai genitori solitamente,
quando ancora non esistevano i grandi centri commerciali di oggi,
nella grande “Fiera dei morti”, un vero e proprio paese dei
balocchi e dei dolciumi, che si organizzava pochi giorni prima nel
rione dell’Olivella e che oggi è stata spostato in via Nina
Siciliana, nel rione Zisa. Il mattino dopo era, e continua ad essere,
una vera e propria caccia al tesoro: al risveglio i bambini cercano i
giocattoli e solitamente accanto ai balocchi trovano ancora il
“Cannistru” colmo di frutta secca e datteri, biscotti tipici
detti “ossa ri mortu”, cioccolatini, frutta di martorana e,
solitamente posta al centro del “cannistru”, l’immancabile
“Pupaccena”: una statuetta di Paladino o di altri personaggi del
mondo infantile fatta di zucchero e dipinta con colori molto accesi e
impreziosita da scintillanti filamenti di carta stagnola o colorata.
Al mattino per i più grandi la tradizione impone di far colazione
con la morbidissima "muffulietta", un tipo particolare di
pane di forma ovale "conzato", condito, con olio, sale,
pepe, acciuga, origano e con la variante del pomodoro fresco per chi
lo gradisce.
Giovanni Verga cita
la “Festa dei morti” in Vagabondaggio del 1887: “ le mamme
vanno in punta di piedi a mettere dolci e giocattoli nelle piccole
scarpe dei loro bimbi, e questi sognano lunghe fila di fantasmi
bianchi carichi di regali lucenti, e le ragazze provano sorridendo
dinanzi allo specchio gli orecchini o lo spillone che il fidanzato ha
mandato in dono per i morti” E già perché a contendersi i
portafogli dei palermitani in questi giorni non sono solo i
giocattolai ma anche i gioiellieri perché, anche se in tono minore
rispetto al passato, è d’obbligo “per i morti” portare alla
fidanzata un piccolo “cannistru” con sorpresa d’oro dentro!!
La festa dei morti è un evento che per fortuna almeno a Palermo “resiste” molto bene e frasi incomprensibili per chi non è “dei nostri” del tipo “quando sono i morti? oppure Cosa ti hanno messo i morti?” e perché no? “Talè chi mi misiru i morti! riescono ancora a sopravvivere nonostante la fortuna dell’americana “ DOLCETTO O SCHERZETTO?”
* Tale dolce deve il proprio nome al luogo in cui venne preparata per la prima volta: il convento della Chiesa della Martorana di Palermo
FONTI:
UTILITY MAGAZINE anno 2 -numero 3- settembre 2009